Dal bozzolo della mente alla Vastità, alla bellezza che danza in ogni dettaglio, in ogni minuto frammento della forma della vita, questa è la direzione ineluttabile intrapresa dalla pittura di Cristian Mazzon. I soggetti che lui sceglie, compone ed amalgama sono disparati: possono essere fiori, vasi, animali, acque, cieli o paesaggi di città (Treviso o Venezia la città più contemplativa del mondo) oppure sorprendenti ritratti, ma tutti sono in quanto chiavi e rebus o sinapsi dell’Esistenza che nell’animo dell’artista fanno scaturire questa Realtà della Realtà. Sorseggiata con urgenza di partoriente e con ineffabile lucidità di antico saggio.
In Krisma avviene come una simbiosi con le forme, colte con un amore infinito, contemplativo e spirituale oserei dire, con un guardare travolgente; la medesima cura nel farsi i colori e lavorare la tela con tecniche d’altri tempi rivelano come l’evento pittorico sia sacro, sacro come lo sono l’attesa del seme di fiorire, la caccia per l’aborigeno o i segni della natura per il pellerossa. È lungo questo pellegrinaggio verso il mistero dell’arte, che già rapì il Caravaggio, avviene come a bagliori, nell’opera del Nostro, una pittura dunque come Visione che si decanta all’infinito: non sole pennellate ma grandes jetés sospesi nella danza del tempo colti dal grande sguardo eternamente presente e non indicabile, che sovrasta la coscienza. La contemplazione della bellezza fa sì che l’artista smetta il grembiule consunto della personalità, si faccia limpido e scompaia finalmente sulla tela amica divenuta maieutica proiezione e realtà della realtà.
Due specchi dunque: uno l’Esistenza e l’altro la consapevolezza libera, nel fare, a un io intellettuale e quindi rinata dalle sorgenti del cuore, nelle vesti nuove dei colori del quadro. E ora limpidamente là pregna di vita.
Prof. Federico Longato